10.05.2024 

La reputazione aziendale, pur rientrando tra gli asset intangibili dell’impresa, ha ritorni non soltanto tangibili, ma anche misurabili e consistenti dato che possono generare un 10% di ritorno sull’ investimento così come dimostrato in una ricerca condotta da Mediobanca e Cineas, il Consorzio universitario del Politecnico di Milano. L’Osservatorio sul risk management prende in considerazione 277 imprese familiari italiane in rappresentanza di 2600 medie imprese manifatturiere, con fatturati tra 20 e 355 milioni di euro e da 50 a 499 dipendenti. L’analisi ha l’obiettivo di capire se e come queste aziende gestiscono i rischi, quali rischi prendono in considerazione, con quali priorità e con quali esiti in termini di risultati aziendali. La sorpresa è qui: le imprese dotate di un sistema strutturato di risk management ottengono profitti di oltre il 30% superiori rispetto alle altre. Quindi, la gestione dei rischi non ha soltanto un valore industriale, volto a salvaguardare gli investimenti e la continuità aziendale, ma può anche generare un ritorno finanziario significativo. Possiamo pertanto affermare che gestire i rischi vale il 30% del ROI, valore tutt’altro che trascurabile. Secondo Gabriele Barbaresco, autore della ricerca e direttore dell’ufficio studi Mediobanca emerge una correlazione chiara tra la gestione dei rischi e la redditività aziendale… anche se non è provata la causalità tra la gestione dei rischi e una redditività migliore. Potrebbe anche essere che le imprese con una migliore redditività abbiano anche una maggiore attenzione alla gestione dei rischi Il caso della reputazione poi è peculiare perchè non riguarda i processi aziendali né gli obblighi normativi su cui da sempre si concentra l’attenzione delle imprese. La percezione del rischio da parte degli imprenditori varia sensibilmente in funzione della tipologia di attività dell’azienda e del settore operante.

Il punto chiave è che le imprese dotate di strumenti manageriali evoluti ricorrono a modelli di risk management che non si limitano ad analizzare dati probabilistici e serie storiche di accadimenti possibili ma si spingono a immaginare rischi non tradizionali o che possono nascere da situazioni non predeterminabili. Un modo per evocare i cosiddetti cigni neri, che Nassim Taleb ci ricorda essere eventi a bassissima probabilità ma con un impatto potenzialmente devastante. Secondo la ricerca in analisi il 60% delle aziende analizzate ha un sito aggiornato, ottimizzato e utilizza il web ai fini commerciali. Il nome di queste aziende arriva a un numero di contatti inimmaginabile e, in caso di situazioni o incidenti che compromettano la credibilità dell’azienda, tutti questi contatti rischiano di diventare nostri nemici o giudici, di prendere le distanze da noi o di diventare addirittura attivisti per la messa al bando del nostro brand, così come si evince da uno dei più risonanti casi di cronaca nei confronti di un’azienda gestita da un noto personaggio pubblico la cui reputazione è stata altamente compromessa. Il rapporto Aon 2017 sulla gestione del rischio nelle aziende, stima che una società quotata in borsa possa perdere almeno il 20% del proprio valore azionario in caso di danni di immagine consistenti. Mentre la rivista specializzata Reputation Management rileva che l’80% degli utenti e-commerce dichiara di non fare acquisti presso esercenti con recensioni negative.

Se questo è il conto da pagare, è indubbiamente preferibile agire d’anticipo, affrontare quest’area di rischio in ottica strategica e adottare una politica di prevenzione dei rischi reputazionali servendosi del sostegno di specialisti del settore.

 

Domenico Posca - Luisa Polito

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